Dei film rimangono impresse le scene, le immagini, i dialoghi, le singole frasi: “La distruzione è la via per la trasformazione”, è una di queste. Sebbene possa suonare apocalittica – e forse nel suo un po’ lo è – non ha niente di sbagliato. Quando non si ha più niente, quando intorno è tutta una linea d’orizzonte, le opzioni sono due (e da quelle non si può scappare): o si riparte, dalle proprie origini, o si sta fermi. Niente e nessuno impediscono di fare una cosa, piuttosto che un’altra. Ci sono situazioni in cui le contingenze della vita non giocano più alcun peso. Il famoso “non aver niente da perdere” misto a “il ciclo della vita”. Eppure, anche qui, non è poi così sbagliato.



E se questo intro suonava un po’ come la scena finale di una rivisitazione molto personale di “C’era Una Volta In America”, “Into The Wild” e – perché no – uno spaghetti western è perché il protagonista di questa intervista è uscito da poco con un nuovo album nonché una nuova pagina del proprio capitolo di storia personale. Dunque, quando alla passione per l’arte si unisce un percorso di vita così importante: il cinema è sempre un’ottima presentazione. L’8 aprile scorso è uscito “Come Neve Per L’Acqua”, il nuovo album di Truly Ioria: artista salernitano che ha raccontato un po’ di sé e del disco a Hip Hop Starz Tour.



“Cenere”, a mio parere uno dei brani più introspettivi e intensi dell’album. Perché l’hai voluto mettere come primo pezzo del disco?
Perché una fenice rinasce dalle ceneri. Solo prendendo consapevolezza del passato, puoi bruciarlo e ricominciare. Esorcizzare parola per parola i fatti accaduti era l’unico modo per iniziare il disco.
“Come neve per l’acqua” per me è un vero e proprio diario segreto che hai deciso di svelare al mondo. Si tratta della chiusura di un cerchio o l’inizio di un nuovo percorso?
Tutti e due. È la ciclicità delle cose. Per ogni morte, c’è una rinascita, un nuovo inizio.
Mi ricorda tantissimo l’Hip Hop americano di fine 90 inizio Duemila, come mi ricorda tantissimo il sound dei Sottotono: vibrazioni e pezzi soul alternati ad altri davvero molto conscious. C’è un background di riferimento per questo album e, più in generale, per la tua musica?
Beh i riferimenti, come i sample e le sonorità chiaramente soul, jazz e R&B sono voluti. Dal campionare Snoh Aalegra al sample di Kanye West in MBDTF, alla scelta di una cantante come Nova. Ho sempre amato i Sottotono ma sempre pensato (e tutt’ora ne ho la conferma) che l’Italia non è pronta per certe sonorità. Forse per l’R&B in generale. Comunque, e questo ci tengo a dirlo, l’unico punto di riferimento per scrittura e attitudine, nel rap italiano, per me è Ghemon.
Invece il background di Truly quale è? Musicale e non solo. Come ti sei avvicinato al rap? Arrivi da una scena molto forte che ha un percorso a se stante quanto incrociato al rap italiano, quella campana.
Il mio background va dal soul, all’R&B, al rap di Mos Def, Talib Kweli, Common, con punti di svolta su Kanye del 2010 per le sonorità e sul tipo di scrittura conscious di Ghemon fino al 2016. Il rap campano non mi rispecchia e credo neanche lui si rispecchi in me.
Il rap – con le sue tendenze neomelodiche – campano ha un po’ vita a sé. Si regge benissimo sulle sue gambe e sembra sempre essere capace di rinnovarsi, stando al passo con i tempi o – di contro – rimanendo sempre attuale. Secondo te, quale è la sua forza? E in cosa, se succede, non viene ancora preso sul serio dalla scena rap nostrana.
il rap è diventato un fenomeno da baraccone dove tutti i ragazzini vogliono cimentarsi per diventare famosi. Credono sia la via più semplice e la cosa più facile da fare. Prima era parte di una cultura. Non voglio fare il purista o il conservatore ma non vedo un’evoluzione del genere, sinceramente. Quanto al rap campano credo che l’unica scena che meriti in questo momento è la napoletana. Hanno saputo fondere i fondamenti neomelodici e la musicalità del linguaggio al rap. Sono gusti ma c’è comunque da riconoscere i meriti. Chapeau.
Anzi, come ti sei avvicinato all’Hip Hop? Se non sbaglio hai un trascorso nel writing. Sei ancora un appassionato? Cosa ti affascina di quell’arte? E dello sviluppo della lettera?
Sì, a 12 anni ero un writer. Mi avvicinai all’hip hop tramite i storici writer di Salerno e le crew come KNF o UHT, poi la folgorazione sentendo un pezzo di Neffa – ”Non tradire mai” con Al Castellana. Capii che quella roba lì mi apparteneva. Non dipingo più, preferisco scrivere. Ma le radici non si dimenticano.
Con Sir Donuts è un vero e proprio sodalizio: c’è una vera e propria empatia tra di voi vero? Invece com’è nata la collaborazione con Ayy Yo Felix?
Donuts era l’unica persona che potesse unire sonorità soul e modernizzarne i suoni. Per me è un fratello. Felix è un baby talent. Quando ho sentito delle sue cose ho capito subito avrebbe potuto fare anche altro, se indirizzato… e così è stato. È uscito dalla sua zona di comfort. Ne sentirete parlare.
In questo disco racconti il tema della depressione: quanto la musica è stata la tua arma per combatterla e quanto invece ha “subito”?
Nel 2011 uscì con un disco, sempre per Soulville, dal titolo ”Il riflesso di Pinocchio”. Da lì giù critiche su quanto fossi copia e quanto invece mi ispirassi ad una leggenda come Ghemon.. Nelle recensioni del disco c’era chi parlava di sosia e chi parlava di erede. Questa cosa mi ha fatto molto male perchè credevo non fosse riconosciuta l’unicità e l’originalità della mia scrittura. Non era un comune denominatore in quel periodo scrivere in una certa maniera. Un po’ di cultura, metafore, amore. Niente strada, droga, gangsta. Era già iniziata la battaglia con quel mostro ma questa fu la motivazione per la quale decisi di smettere di fare rap. Credevo che allontanandomi dalla scena le cose potessero andare meglio e invece è stata una escalation di dolore. Poi, come never per l’acqua, la musica è tornata nella mia vita. Qualcosa in me ha detto che quella era la cura, la strada, per combattere quel mostro, ad anni di distanza.. e grazie a Dio, sono qui.