30 Luglio 2019, martedì. Fuori dal Praja, Gallipoli (Lecce).
Ore 18:45.
Sono un lupo solitario, ed il biglietto dentro lo zaino me lo sono procurata sabato pomeriggio. Quasi non so come ci sono arrivata qui. Passo accanto alla fila, più lunga di quanto avrei desiderato. Dreadlocks, pantaloncini larghi, teste rasate, cappellini da pescatore, treccine… Penso: “Ma che swag!” – e nel frattempo mi ritrovo nella spiaggia di Baia verde, a lato della discoteca.



Davanti a me due ragazzini sui diciassette, ai quali si avvicinano le mamme con in mano dei bei panini con le patatine. Oh, avevo già fame, ma dopo una simile visione estraggo dallo zaino una delle due piadine preparate a casa. Mentre mangiano, o meglio mangiamo, le signore fanno per andarsene, quando colgo una di loro a rubare uno scatto ai figli nella coda. Non so se pensare che sia il solito problema degli adulti con la tecnologia o il solito problema delle madri con i figli maschi.
Ad un certo punto avanziamo, e così mi appoggio al parapetto di legno della passerella d’ingresso al locale. Dietro di me una coppietta insopportabile, lui tiene le sue braccia costantemente sul ventre di lei, e le dà bacetti per tutto il tempo. Tiro fuori la seconda piadina e mi distraggo dalle loro smancerie con i due davanti, che chiacchierano di marchi di abbigliamento e squadrano un ragazzino che sta acquistando una prevendita commentando la sua camicia. Ho concretamente sfatato lo stereotipo della ragazza in fissa con il vestire. Sebbene la situazione stia iniziando a divertirmi, mi sento piuttosto indiscreta, perciò mi appendo al parapetto a guardare il sole arancione del tramonto; me ne sto così finché non si tuffa nel mare, e qualcuno accende una cassa per scaldarci le corde vocali canticchiando delle canzoni di Gemitaiz.



Ore 20:35.
Ci siamo, hanno aperto le porte. Tiro fuori dallo zaino il biglietto, e mi faccio un ultimo sorso d’acqua prima che il signore della security mi tolga di mano la bottiglietta. Un attimo e sono dentro, in una buona posizione rispetto al palco, sullo schermo la pazzesca animazione in 3D del logo del SottoSopra Fest. Ad accendere la serata ci sono prima dj Blast ed il vocalist Lampo, poi dj Mista p con Shogun. Ammetto che in un primo momento abbiamo fatto sudare Lampo, perché dopo le ore di fila in piedi eravamo mosci, ma pian piano ci siamo rianimati ed io mi sono presa benissimo… Non vi dico il ragazzo alla mia sinistra con il bucket e gli occhiali da sole, che doveva aver preso alla lettera la rima “Non scordare gli occhiali da sole / Ti porto lontano, non si sa dove” di “Paradise Lost”. Alla mia destra invece avevo un ragazzo con le treccine chiuse da elastici colorati – ho una fissa per la capigliatura – e i lineamenti dolci, anche lui preso bene; mentre dietro di me due ragazze minute e carine, con un debole per le canzoni di Sfera Ebbasta e Salmo. Il momento saliente del dj set è stato forse quando sono arrivati Mista p e Shogun, i quali dopo che dj Blast e Lampo avevano riscaldato l’atmosfera, hanno generato la scintilla con “7 Miliardi” di Massimo Pericolo, e siamo esplosi in un grido collettivo.
Ore 23:30.
Questione di minuti e Gemitaiz salirà sul palco con Mixer T. Per quanto le piadine continuino a fornirmi energie, fa caldo, ho la gola secca e le gambe si sono fatte pesanti col tanto muovermi e ballare; in più poco fa un uomo della security si è fatto strada nella massa tenendo tra le braccia una ragazzina che stava collassando, molto probabilmente per un calo di pressione o di zuccheri. Allora penso bene di prendere una delle bustine di zucchero che ho preventivamente portato con me, e la scena è indimenticabile: la ragazza dietro fa una faccia confusa, stupita, incredula guardando alla mia “bustina di cocaina”, mentre il ragazzo con le treccine ride sotto i baffi avendo letto la scritta “Valentino Caffè”, il bar da cui appunto proviene la bustina di zucchero. Ad un tratto sullo schermo compare un televisore in fiamme che trasmette una videointervista, proprio quella il cui audio è stato utilizzato nell’intro di “QVC8”, “Già da un po’ (2010)”. Cantiamo e agitiamo le braccia e si stabilisce un’immediata sintonia tra noi e Davide. Alla fine della canzone riesco a vederlo che si erge solido sulle nostre teste, la sua mimica facciale esprime durezza, è come se stesse affrontando sé stesso attraverso di noi. Prosegue cantando “Rollin’”, “Davi”, e avanti così con altre tracce di “QVC8”.



Con aria sfrontata dice che al concerto di Lucca con MadMan, tenutosi pochi giorni addietro, il pubblico è stato molto più caloroso: “[…] Non volete sfigura’ co’ Lucca…” Ci lancia frecciatine per scaldarci – “No, ma vi muovete a chiazze…” – gesticola come a dire “di più!” e riceve una risposta sempre migliore, sempre più carica e chiassosa. Ad un certo punto parte la base di “Giuro che” e prima di pronunciare la rima iniziale “C’ho l’iPhone, no’ il Motorola / Fresh dalla testa alla suola” ci fa: “Ragazzi, ma qualcuno di voi ha il Motorola?” Allora un gruppetto solleva i telefoni, a testimonianza della loro modernità, e ce la ridiamo insieme a lui. Quello che tutti ci chiedevamo era se ci sarebbe stata Priestess, essendo lei pugliese: ebbene sì! Sale sul palco e la accogliamo con un grande urlo; la sua voce è fantastica e raggiunge acuti altissimi.
L’energia cresce con “Thoiry”, che ci fa saltare, i primi 50 secondi di “Veleno 6” rappati sull’intro di “Sicko Mode” e, prima che cambi il ritmo del beat – pausa – shift alla strofa di “Veleno 7”. Le animazioni proiettate sullo schermo sono caratterizzate da colori fluorescenti che le rendono veri e propri trip intervallati da slogan in stampatello su sfondo nero come “don’t cry”, “zero holidays”, “dream big”, “still alive”. A pensarci bene, è da un po’ che Gem annuncia che “questa é l’ultima”, senza che poi lo sia. “Quale volete adesso? Quella dell’album nuovo o dell’album vecchio?” Insistiamo per una dell’album vecchio, e con mia sorpresa parte “Blue Sky” di “Kepler”, album realizzato in collaborazione con MadMan. Mmh, a quale nuovo album si riferisce?



Nell’ultima parte del concerto canta alcuni brani vecchi, che hanno segnato il suo percorso, ad esempio “Bene” e “On The Corner”. Questa non l’avevo ben presente, perciò non la canto ed è l’unico momento in cui mi fermo bene a guardarlo: “Ero un ragazzino con le paranoie / Adesso sono un ragazzo senza rimpianti / Metto sottosopra gli impianti / Porto Roma coi guanti / E faccio mangiare polvere a tutti quanti”. L’espressività del volto e la fermezza della voce lasciano trasparire la carica emotiva racchiusa nell’ultima strofa. Il ritornello campionato da “Tom’s Diner” di Suzanne Vega mi rimane incastrato nella testa: “I am waiting on the corner / On the corner, on-on the corner / I am drinking on the corner / On the corner, on-on the corner […]” È una metafora che fa al mio caso, che ho vissuto ‘all’angolo’ il concerto, e mi fa ripensare che, non ricordo dove, avevo letto: in fondo i protagonisti se ne stanno in disparte.