Carl Brave x Franco126 "Le vite che non ho vissuto"
Live report del concerto al Flowers Festival di Collegno (TO) il 14 Luglio 2018
Questo dovrebbe essere un riassunto di com'è stato il concerto.
La verità è che invece è la storia di com'è stato il mio concerto.
La premessa è che io non sono un fan sfegatato di Carl Brave x Franco 126. Mi piacciono molto, li ascolto relativamente spesso e trovo che abbiano quella spinta in più di cui stasera ho avuto la conferma.
Sanno tenere il palco alla perfezione. Carl con il suo charme indie leggermente effemminato si muove disarticolato e intrattiene il pubblico con quel tocco di romanità che affascina dall'inizio dei tempi.
Franco sembra il classico ragazzo semplice su cui non punteresti una lira, ma che in realtà è un genio. Basso e baffuto è più un cantautore new age che un indie-trapper o qualunque altra definizione da cliché gli abbiano affibiato.
Coinvolgono il pubblico, performano alla perfezione, fanno ballare, fanno cantare e fanno commuovere.
Quindi sì, da un lato oggettivo è stato tutto molto figo. E per la cronaca era anche pieno di figa.
Figa hipster che, probabilmente, con una bella spinta morale da Pussy Riot era anche pronta a farsi un giro di giostra.
Di questo ne ho anche discusso con un mio amico che era lì con me.
- Ma secondo te si può rimorchiare ai concerti? – gli chiedo.
- Certo.
- Secondo me no.
- Perché ?
- Tu rimorchieresti una stasera per trovare l'amore?
Mi è bastato lo sguardo per capire la sua risposta. Da noi in dialetto si dice "ça va sans dire", che suona molto francese e il senso è lo stesso. Parafrasato: "non serve dirlo".
- Ecco, quindi pensaci – riprendo – se tu vieni a un concerto è per sentirlo, giusto?
Annuisce.
- Dunque se si scopa o è prima o è dopo.
Annuisce ancora.
- Bene. Ora fai due conti. Siamo a 100 chilometri dalla nostra città, in un posto che alle 2 chiude e dove la gente non si ferma. Fosse un festival tipo Tomorrowland o Sziget sarebbe completamente diverso. Ma fidati, qui non si scopa.
- Quindi?
- Quindi bisogna andare allo Sziget. In camicia a fiori a rimorchiare figa hipster.
Tolta questa piccola parentesi il concerto me lo sono goduto. Osservando le ragazze che non avrei nemmeno approcciato, sentendo il sudore della cicciona vicina a me, cantando le canzoni che sapevo e facendo finta di canticchiare quelle che non sapevo. Non per fingere agli occhi altrui, ma ai miei. Per darmi un posto. Un posto valido.
Un posto in mezzo a un pubblico che non avevo mai vissuto.
Io sono un hiphoppettaro, cazzo. A sedici anni andavo al Leoncavallo a sentire Kaos One e i Colle der Fomento con la gente gonfia di MD e roba varia. Io che una droga pesante non l'ho mai toccata e compensavo bevendo litri di gin lemon e fumando al ritmo di una canna ogni venti minuti.
Poi devo dire che crescendo ho aperto gli orizzonti alla new school e ora mi sento pure le trappate.
Il fatto è che io a un live con un pubblico mediamente venticinquenne che sorseggia birre con moderazione, fuma ma non troppo, e che ondeggia con le mani anziché battere il tempo facendo su e giù col palmo, non c'ero mai stato.
Mi è sembrato un universo nuovo. Un po' finto e plasticoso se devo dire la verità, ma comunque interessante.
Così ho provato ad adeguarmi. Ho fumato mezza canna molto lentamente, poi ho iniziato a tirare su le mani e a farle andare a destra e sinistra. A sentire gli strumenti e la voce e non una voce sulla base.
In poco tempo mi sono abituato.
Le cose filavano lisce.
Ma come sapete Ligabue cantava "il meglio deve ancora venire", ma la vita ti insegna che quello che deve ancora venire è sempre il peggio.
E infatti, non a caso, questa è la storia di una steccata emotiva che non avrei mai immaginato.
Improvvisamente parte un pezzo malinconico. Proprio come tutti gli altri, ma a me lo sembra di più.
Da quello inizia un piccolo delirio silenzioso nel mio cervello.
Sta di fatto che in tre nanosecondi e mezzo ho iniziato a vedere il mondo coperto da una patina giallognola dolce-amara.
Ho iniziato a pensare che davvero "non esistono fatti, ma solo interpretazioni" (questa non è di Carl Brave x Franco 126, ma di Nietzsche). E che il segreto forse sta nel guardare il passato con un sorriso al 5% falso.
Un 5% che ti dice "eh sì, ma quanto te rode er culo?".
- Il culo mi rode abbastanza che in questo istante mi mancano pure le ex che non ho avuto. I cani morti che non ho mai visto vivi, i parenti lontani che non ho mai visto vicini, le scuse per le litigate che non ho mai fatto, eccetera eccetera eccetera….
- Ma smettila. – dice l'altra voce nella mia testa.
Piccola precisazione: non sento le voci. È giusto per farvi capire che ero combatutto e che il pensiero non scorreva lineare.
- Devo smettere di fare cosa?
- Di nuotare controcorrente nei mari delle vite che non hai mai vissuto.
Sincero? Questo è la via di mezzo tra un racconto e un reportage. Quindi non romanzerò nulla. Il pensiero si è semplicemente interrotto così. Non ricordo nemmeno perché. Sarà successa una roba tipo il mio amico che mi dice qualcosa o una canzone che so per intero e che inizio a cantare.
Per il resto è andato tutto bene – "nana ancora che stamo pellaria" – e me ne sono uscito soddisfatto.
Rientrato in città ho avuto un crollo. Il mio umore aveva la faccia dell'hipster medio: spossato da problemi che non ha.
E comunque ora sono sul divano, in casa da solo, che penso ancora alle ex che non ho avuto. Al resto no, perché alla fine è l'amore quello che ti porti dietro fino all'ultimo confine.
E so che ho imparato qualcosa.
Che quando penserò che tu (indefinito) mi manchi,al limite penserò che "metti domani tornerai, seh hai visto mai".
Che non avrò più vuoti di memoria, ma "ridimmi il nome che quando mi presento penso solo a come dire il mio".
Che non saranno più litigate con una donna, perché anche se "dici che non ci tengo, lo sai che è una fesseria".
E quando sarò di fronte al peggio non sarà un grosso problema perché saprò che "tanto tutto passa, forse dovrei cambiare aria".
Thomas Tramarin.