Jesto, a.k.a. Justin Rosso, è un rapper italiano classe 1984, figlio del celebre cantautore Stefano Rosso. Nella sua carriera fa uscire più di 10 mixtape, singoli a non finire, 9 EP, fa collaborazioni con chiunque e commercializza 4 album in studio.
Domani esce il suo quinto album, intitolato Buongiorno Italia
Abbiamo avuto l'occasione di ascoltarlo in anteprima e di fargli qualche domanda.
Iniziamo con una domanda che mi piace fare a tutti, un po' per capire i tuoi gusti e il tuo background: libro e film preferito?
Come libro direi La danza della realtà di Alejandro Jodorowsky, è formante, lo leggi ed entri nel mondo sciamanico. Film non saprei. Tempo fa ti avrei detto un classicone come L'odio e quelle cose lì, ora che sono in una fase un po' più artistica e creativo ti dico Se mi lasci ti cancello, che la traduzione italiana del titolo (The eternal sunshine of the spotless mind) è orribile e pensavo che fosse una cagata, invece mi ha lasciato a bocca aperta. È una poesia fuori di testa.
Il tuo background è formato da due componenti principali: il rap underground old school delle battle di freestyle e il cantautorato anni '70 di tuo padre (Stefano Rosso). Che ruolo hanno avuto nel tuo percorso questi due aspetti così distanti?
Fino a questo disco la parte del cantautorato e dell'eredità di mio padre non mi ha quasi sfiorato. La parte rap è stata sicuramente quella predominante.. Con questo disco mi si è risvegliato qualcosa. Dopo aver fatto un sacco di mixtape e aver sperimentato tutti i flow possibili, spesso anche anticipandoli, mi sono accorto che mi stava sfuggendo un'eredità della musica della scuola romana anni '70. Questo è successo dopo la canzone Papà, con cui mi sono accorto di aver reindirizzato un sacco di fan sulle canzoni di mio padre e così anche molti adulti sono arrivati da me e magari hanno trovato cose troppo distanti dal loro linguaggio, come Broccolo. Così in questo disco ho cercato di mescolare quel background del cantautorato con quello che è stato Jesto fino ad oggi, cercando di non fare forzature. Ora c'è una crasi perfetta, tra quello che farebbe mio padre oggi se avesse la mia età e il Jesto che è arrivato fin qui. È stata una fusione di stili naturale, non mi sono mai messo lì a tavolino per farlo, che sennò mi sarebbe sembrato di fare un compitino a scuola. La vera fatica di questo disco non è stato tanto farlo, che ci ho anche messo poco, ma incanalare anni e anni di vissuto nella direzione giusta. Come se ci fosse voluta una vita per farlo in un secondo. È una cosa un po' zen.
Fabri Fibra anni fa durante un'intervista si è incazzato come una iena perché la reporter gli ha chiesto cosa ne pensasse dell'Italia. E ha detto che dovrebbero chiederlo a tutti gli artisti e non solo a lui che ne parla. Ora non chiederò a te questa cosa perché la risposta sarebbe "sentiti il disco", però vorrei sapere perché hai fatto questa scelta tematica nell'album. Proprio ora che la direzione della musica in Italia sono le tracce fast food.
Sono passato dal disco precedente (Justin) super personale, incentrato sull'Io e sull'autoreferenzialità, al noi. In questo disco non c'è mai autoreferenzialità, se non, al limite, in Note vocali, che è l'unico pezzo dove mi nomino. Cosa assurda visto che sono conosciuto per dire "È Jesto" dieci volte per pezzo. Ho tolto l'autocelebrazione, l'ego, l'egotrip, perché non parlo mai di me o, se lo faccio, faccio parlare altri. Tipo mia madre in Mio figlio. Ho sovvertito le regole del rap, perché mi piace sperimentare e fare quello che gli altri non fanno e poi perché è lì l'eredità del cantautorato anni '70. Nel senso che i cantautori, ai tempi, hanno sempre parlato del mondo che li circondava. Ora invece nessuno parla della fase critica in cui viviamo, che io trovo assurda. Stiamo toccando il fondo. Per dirne una: cosa succederà con 'sto governo? A me pare assurdo che nessuno nel mondo della musica, e non parlo solo del rap, abbia nulla da dire. Che poi il mio non è un disco politico. Per me i politici sono attori brutti che non sono stati presi. E non è nemmeno sociale. È umano su quello che viviamo. Direi che la cosa più vicina è la satira. E questo lo rende fraintendibile. Anche perché faccio parlare voci di altri. Quando dico che se esce il nuovo iPhone mi vado a mettere in fila è ovvio che non sia io, ma un certo tipo di persona che è esempio dei luoghi comuni.
E fai anche spesso questa cosa di immedesimarti in altre persone e di farle parlare.
Sì, questa cosa mi piace moltissimo. Un po' per ripescare il Jesto del penultimo disco e un po' perché da un valore teatrale al rap, che è una cosa che non c'è. Secondo me lo alza di valore, lo rende più autoriale. Anche a livello di performance mi sento quasi un attore e faccio così anche nei video. È una cosa molto alla Andy Kaufman, che si mascherava da altri personaggi senza far sapere che fosse lui. Una volta l'hanno scritturato per una sit-com che non voleva fare, così ha fatto mettere a contratto che avrebbero dovuto far comparire anche questo cantante country super volgare che nessuno conosceva. Alla fine era lui con i baffoni. Lo volevano così tanto che accettarono. In questo momento sono molto ispirato da lui.
Parliamo della costruzione del disco. Com'è andata?
Innanzitutto ho scartato un sacco di roba, abbastanza da farci un altro disco. Questo album era partito molto più alla Eminem, con la ricerca di beat più west, più Dre. Avevo iniziando prendendo per il culo l'Italia continuando a nominare personaggi. Poi ho levato questa veste perché ho cercato una dimensione più universale. Ho pensato che il bello e brutto del rap è che fotografa un momento preciso, ma già l'anno dopo quella roba non c'è più. Ho cercato di renderlo immortale e non legato a un preciso momento. E anche i cantautori facevano così. Cosa che prima non facevo, ho sempre avuto la caratteristica che appena c'era un argomento di dibattito io ci facevo il freestyle e lo facevo uscire e sicuramente questa cosa riprenderò a farla perché mi piace e ne ho bisogno. Però questo album l'ho voluto tirare fuori dal tempo.
Ora, visto che ti piace il cinema, ti faccio una domanda. Il pianista è un film che mette in discussione il ruolo dell'artista rispetto al momento storico e al popolo. Secondo te l'artista ha quasi l'obbligo di occuparsi di certi argomenti e di comunicare un punto di vista o può fregarsene e fare semplicemente intrattenimento? In quanto musicista, hai una responsabilità verso chi ti ascolta?
Secondo me non c'è una regola. Per me l'arte è una cosa assolutamente spontanea e chi la fa deve darsi le proprie regole. Ognuno deve fare ciò che gli va a seconda della fase della propria vita in cui si trova. Detto questo, secondo me, volente o nolente, l'arte è ribellione nel momento in cui nasce. Questo perché se vuoi dire qualcosa, che tu sia un pittore, uno scrittore, un cantante o quel che vuoi, è perché quello che vuoi comunicare è un pensiero che non è in circolazione, quindi stai sovvertendo l'opinione comune, anche non volendolo. Se senti l'impulso è perché vuoi andare contro qualcosa. È un desiderio di cambiare il mondo, che non significa essere Martin Luther King, ma anche semplicemente dare uno spunto che può permettere di formare un'opinione. Io infatti non do nessuna soluzione ai problemi di cui parlo, ho solo messo una lente d'ingrandimento grottesca su quello che tutti viviamo. L'ironia serve a metterti di fronte al fatto che devi per forza riflettere su quello che ti faccio vedere con questa lente. Ti costringo a formarti un parere personale. È una sorta di trappola intellettuale.
Ti racconto un aneddoto. McEwan ha preparato suo figlio sull'analisi testuale di un proprio libro. Il professore gli ha dato una C. Cosa ne pensi di questa cosa? Come ti poni con i fraintendimenti artistici?
Beh io penso di essere uno dei rapper più fraintesi di sempre. Questo perché non c'è mai una sola chiave di lettura in quello che faccio. Ma va bene, se tutti capissero vorrebbe dire che ho sbagliato qualcosa. Ti dico, spesso scopro cose delle mie canzoni dal feedback dei fan. Che comunque i miei fan, quelli che mi seguono da anni, sono a un livello di attenzione e di critica da fuori di testa. Uno mi ha scritto "la terza strofa di Buongiorno Italia è il video stesso". Io non so cosa voglia dire, ci ho pensato, ma non l'ho capito. I miei fan sono in un viaggio in cui sono attentissimi a ogni messaggio nascosto. Ad esempio li ho abituati a far caso che le tracce parlano. Tipo queste tre di fila: Amore cane, Quest'estate, Disoccupato.Tu che fai? St'estate non avrò un lavoro, abbandonerò il cane in autostrada e me ne andrò al mare. Per dirne una. Spesso i fan mi stupiscono. Ma è giusto. Penso che le opere, a volte, creino da loro altre cose. È come se avessero un'energia propria che ti guida e che crea legami di cui chi la fa nemmeno si accorge. A volte mi sento solo come il mero mezzo che serve all'ispirazione per venire fuori. La creatura, l'opera, a volte mette i tasselli da sola.
Parliamo della title track. Qui metti in scena l'Italiano medio, che è in una fascia d'età precisa. Secondo te i giovani manterranno questo legame con l'italianità o esisteranno solo più i giovani medi uguali in tutto il mondo?
Bravo, questo è interessante perché dico "tua moglie con l'idraulico", quindi mi riferisco a un pubblico più grande. Da una parte è forever, nel senso che noto che queste cose che critico e su cui punzecchio sono le stesse che pigliava per il culo De André. È un po' nel DNA, non cambieremo. Se la domanda è come ci si rapporta uno piccolo rispetto a questo, penso che uno che ascolta rap ad una certa età magari è la prima volta che si sente dire "Il Grande Fratello ti rincoglionisce". Cosa che per noi è scontata. Però facci caso, il ragazzino di adesso non ha il nostro background, non ha quegli artisti di riferimento che hanno invitato noi a pensare e a farci uno spirito critico. Forse, a quell'età, può essere la prima volta che qualcuno mette in dubbio quello che tutta la classe di scuola guarda. Io me la immagino la ragazzina che si guarda Uomini e Donne. Per noi è scontato che sia spazzatura, ma per loro no. La realtà non è fatta da spiriti critici, se guardi Twitter la sera c'è solo gente che parla dei reality. La persona base è pienamente vittima del mondo dei talent e dei reality. Quindi quando parlo di queste cose parlo anche al pischello, per dirgli "guarda che sei davanti alla tv a vedere uno che si gratta". Io, in questo pezzo, parlo a un target di età più alta, ma magari il pischello ci rivede il padre o lo zio o semplicemente quello che non deve diventare da grande. Ho messo Note vocali apposta per parlare direttamente agli adolescenti, il resto è tagliato su cose più adulte, come il lavoro e la disoccupazione. Però capisci, non è detto che tu abbia già avuto, a 23 anni, problemi di disoccupazione, però è detto che un pischello di adesso li avrà. Questo è poco, ma sicuro.
Ora mi piacerebbe parlare di "Mio figlio". Io l'ho sentita e risentita e continuo a non sapere da che parte schierarmi. Ha ragione la madre a dire che il figlio è un fallito, o ha ragione il figlio a dire che la madre non lo capisce? Chi la vince questa lotta generazionale?
Premetto che è uno dei miei pezzi preferiti, specie per il sound: mi sono inventato il valzer trap. Ha la 808 e il bassone, però sul valzer. Se lo sentono in America mi dicono "cazzo fa questo?". Comunque forse non c'è da cercare una ragione. È un pezzo che parla di me, ma in realtà parla di tutti. Chiunque si è sentito dire almeno una volta che il figlio dell'amica è migliore, per cose che sicuramente poi non sono vere. La forza di questo pezzo è che è individuale, ma diventa universale. Tutti ci si rispecchiano. Un po' come è successo con Crescendo. Questo perché parlo di una dinamica in cui prima o poi ti ci ritrovi per forza. Chiunque tu sia, quel punto del rapporto con la madre ce l'hai per forza, non cambia. Penso che tra 30 anni la mamma italiana sarà ancora così, a dire "eh però quell'altro è meglio", "eh i brutti voti a scuola", "eh il figlio della mia amica fa…", e cose così.
Tra l'altro in Italia c'è molto questo pensiero comune del "lascia perdere, non fare arte".
Sì, assolutamente. Ed è una cosa solo italiana. Qua se sei un artista sei uno strano, già solo nel resto dell'Europa, prendi Londra che ci sono stato parecchio, il creativo è figo, strapagato e rispettato. Spesso la sua opinione conta più di quella di un tecnico. Però ci stiamo arrivando, già Milano la vedo lanciata. Qui mi sento più valorizzato per la creatività. Poi io come creativo ci ho lavorato, nel mondo del marketing e del digital. Io andavo in agenzia in skate. A Milano lo puoi fare, negli altri posti c'è il capo panzone che ti licenzia. E invece dovrebbe essere giusto: il creativo viene, si fa la cannetta, ti progetta i video e via. Bisogna liberalizzare gli stimoli alla fantasia. Ma ci stiamo arrivando, anche grazie al web e ai social che stanno piegando l'industria. Se domani fai un video virale vedi come l'azienda dice "wow, ma chi l'ha pensata 'sta cosa? Diamogli dei soldi!". I tempi mangiano il passato.
Ultima domanda al volo. Qual è il tuo pezzo preferito?
Svegliami quando, senza dubbio. Dopo averlo fatto mi sono sentito che sarei potuto morire che comunque avrei lasciato la mia eredità spirituale al mondo. L'ho sentito come un punto questo pezzo. Da dire "il mio compito da artista l'ho fatto", poi se non volete nemmeno capire che quelle che dico sono le basi per un mondo migliore cioè… morite tutti ahahah. Poi è assurdo, perché l'ho scritta quasi come fossi un bambino. E secondo me è quella la forza. È molto più difficile che scrivere un pezzo come Pazzo Delay, che ha mille incastri, quadruple rime, quintuple rime e ti viene da dire "oh questo ci ha perso la notte per scriverlo". Invece no, è molto più difficile fare un pezzo così. Vedi Vasco, che comunque fa schifo, però ha 'sto parlare talmente semplice che con una frase piglia tutti. Non è facile, è molto più semplice fare il sofisticato intellettuale. Questo poi è stato in generale un lavoro che ho fatto su tutto l'album: quello di togliere, semplificare e ridurre all'osso. Prendi solo i beat, con sopra i musicisti a un certo punto il disco scoppiava e in questo Zangi (Marco Zangirolami) è stato un grande perché con lui abbiamo sfoltito e sfoltito. È il primo disco che faccio con più teste e non solo con Pankees in studio. Qua ci sono state più fasi: la prima con lui, poi con i musicisti e poi una terza fase finale.
Quindi è il disco più lavorato della tua carriera?
A livello musicale sì. Poi per registrarlo ci ho messo 5 giorni. Così: ta-ta. Come ti ho detto all'inizio ci è voluta una vita per covarlo. Poi quando l'avevo covato ce l'avevo, era pronto.
PS: da Thomas, ti ringrazio per la disponibilità e mi complimento per l'affinatezza mentale che hai dimostrato. Ti auguro il meglio.
Thomas Tramarin.